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25 febbraio / 23 marzo 2006
Personale del l'artista
Giuseppe Di Franco
Nel segno dell’Esasperatismo

A cura di  Adolfo Giuliani

Alcuni momenti dell’inaugurazione

Contributo critico di Aurelio De Rose

Il termine “ Esasperatismo ”, ideato da Adolfo Giuliani nel lontano maggio del 2000, voleva inglobare, mediante consensi partecipativi e di adesione concettuale, artisti che potessero esprimere, attraverso significazioni d’immagini, l’angoscia dell’uomo nell’attuale condizione del vivere. “Valore ”, che appariva ed appare, ad un limite quasi invalicabile e, sempre più naufragante nell’assenza di parti costitutive d’umanità. Mancante sostanzialmente di quell’“umanesimo”, sempre più dissoltosi nel rapporto - scienza-coscienza - e, conseguentemente, distante da quei processi di creatività, fantasiosa o meno, che accompagnano l’essere umano “pensante”.

 

Elementi, quelli citati, determinanti al raggiungimento di uno “sviluppo” che specifichi, in senso positivo, non solo la propria esistenza ma, altresì, quella della comunità circostante. A questo messaggio, aderisce Giuseppe Di Franco,- professionalmente medico-, ma che già nel corso del suo cammino di vita non ha trovato disgiunte: la passione, l’ interesse e quindi la coerenza “ filosofica ”, nel rapporto sempre più cosciente tra la cultura scientifica, quale patrimonio già maturato, ed una vocazione che, non distaccandosi dalla propria genesi di processo conoscitivo, si trasferisce gradualmente dalle teorie di sensazioni, rimosse dai tangibili segni della psiche, alla sostanziale concretizzazione di simboli pittorici.

E’ così che nel percorso di ricerca, Di Franco assume un impegno responsabile, manifestando una crescita che, nel susseguirsi delle sperimentazioni, lo avvicina sempre più al concetto -dare-avere-, di un -reale-divenire-, materializzandolo in un osservatorio di “allomorfie” realizzate a seconda quanto circonda la propria individuale visione interpretativa. Ciò avviene, soprattutto, nella tendenza che Egli ha nel cogliere, attraverso simbologie, le significazioni più recondite; ponendosi nella condizione d’analizzarne i continui cambiamenti, le trasformazioni. Raggiungendo quindi risultati che testimoniano concretamente quale sia il contributo e la propria capacità di offerta nei confronti di quel processo, finalizzato all’acquisizione “d’espressioni meditative” comparate all’evento oggettivamente considerato.

Coniugazione questa che, attraverso l’introspettiva analisi, dalle cui basi -scienza-umanesimo- non possono distaccarsi, assume nella creatività pittorica, un processuale dialogo fra simboli e realizzazione che, estrinsecati dall’inconscio, tendono ad essere interpretati mediante una capacità rappresentativa di “segni”. Infatti, gli accadimenti che man mano propone, siano essi tecnologici o umani denunciano quel “ rendere aspro ”, del “ deflusso dell’umanità ”, rappresentato da elementi, più d’altri, partecipativi al proprio vissuto e di cui si fa carico. In definitiva, l’adesione prima citata all’Esasperatismo, propone a Di Franco d’assumere l’ incèrcativo ruolo d’analisi nelle investigazioni, che già gli sono istintivamente naturali e, così come appaiono dalle prime sperimentazioni d’assemblaggio materico, si gravano d’un ruolo testimoniale che tenta di ricucire tramite una propria ampiezza di linguaggio. Come accennato, al di là di un “ valore estetico ”, tutto ciò aderisce anche ad un “ valore individualizzato ”, sul divenire caotico ed incontrollato della vita, che si evidenzia nel rapporto di conflittualità -uomo-socialità- sempre più tangibile. Ed è quindi nei vari strati e patine di pittura, che si ritrova nelle opere realizzate, il tentativo di offrire: al primo, una pacificazione morale che riassuma quel ruolo di riferimento principale relazionato a quanto lo circonda; e al secondo, quello d’essere il risultato investigativo fra scienza e coscienza.

Rapporto quanto mai indispensabile oggigiorno per riportare l’inquietudine di quel “reale-divenire”, nella giusta collocazione. Nel segno di queste ricerche, si materializzano per Di Franco momenti d’analisi che si mostrano nel corso delle varie esposizioni ed alle quali dà vita. Queste, nel tempo, pur attraverso fasi di sperimentazioni diverse, concretizzate anche da una fase d’assemblaggi, si definiscono come sostanziali denunce. Notifiche, che non si arrestano nel momento delle successive potenziali necessità di oltrepassare quelle manifestazioni e affrontare, matericamente mediante l’uso sempre più presente del “ colore ”, il travaglio-spirituale che lo sensibilizza. In questo peregrinare alla ricerca di un fine comune come elemento sostanziale d’unità su cui ruota l’intero universo, l’uomo Di Franco ritrova : coinvolto dagli « enigmi e le emozioni anche visionarie proposte dal quotidiano », quel sostanziale “speculum espressionista” che più d’altre può offrirgli la possibilità di far dialogare -scienza e coscienza-. Atta quindi, al tentativo di riordinare e riportare soprattutto con se stesso, quell’equilibrio che annulli, o almeno tenti di farlo, qualsiasi conflittualità sintetizzata dall’Esasperatismo.

Questo processo quindi, maturatosi nel tempo, lo porta a visionare, come appare in questa mostra, un susseguirsi di eventi che coinvolgono, essenzialmente, uno status già altre volte espresso: quello di una napoletanità che non può essere disgiunta e quindi prescindere dall’essere. Un -genius loci- personale, così come egli stesso lo definisce che, in questo caso, percorre le radici “magmatiche” della propria identità. Analizzandole, in queste che Di Franco definisce pittosculture, realizzate soprattutto attraverso l’uso di elementi materici, prelevati sia ad oriente che ad occidente della Città, si ritrovano appunto tutte le predominanze caloriche che sono poi intrinseche nell’intero contesto partenopeo. Città viva, rinchiusa nei millenni trascorsi da queste fonti di fuoco e stratificata dai segmenti collinari; frutto di quelle metamorfosi e di ferite che la materia ha profondamente inciso, trasferendole in quanti con sensibilità creative analizzano questa terra. E, Di Franco l’attraversa questa materia: viva, esplosiva; riproponendone luoghi ed elementi. Magma, che si addice all’impasto dei cromatismi, come rappresentazione metaforica. Che va “manipolato” sapientemente per addentrarsi nella sua imprevedibilità, facendolo affiorare e contestualmente imporlo come emblema di una storia trascorsa ma tuttora profonda; dalla quale non è possibile prescindere per sentirsi partecipi dell’attuale condizione da cui si auspica risorga. Di Franco ne è interessato, vive questa fusione emblematica che é soprattutto sofferenza ed angoscia e cerca di trasferire ogni particella dell’immaginazione nella ricerca di un equilibrio necessario.

Quello dell’uomo, che dinanzi a queste testimonianze, tramuta in simboli la sagoma descrittiva della propria sensibilità traendone spunto per definire una propria mimési. Tutto ciò, come accennato, Di Franco lo effettua attraverso una sottile metafora che si trasferisce nei vari stadi del racconto, facendo risorgere le proprie radici. Tumultuose radici, che la terra sviscera con la fenditura del suo “Cratere”. Contenitore in fermento che lascia in sospeso l’eventualità di  un “Urlo”. Squarcio che può modificare ed annullare l’inutile metamorfosi tentata dall’uomo. ”Magma” che è sinonimo di caos ed attraverso il quale la sua “Liquefazione” trascina però una “Nuova onda”, che nel traslato può rappresentare l’innovazione: quel tentativo di coniugare sia elementi della tradizione come questa materia, che creatività originali da cui possono riemergere segnali di rinascita. Rinascita che può partire anche dalla rugosa stratificazione; dal rosso fuoco ancora vivo dei “Campi Flegrei”: simulacro di sacralità ancora pulsante di massa lavica, di effluvi. Materia quindi che si raggruma per definire il disagio di chi vorrebbe contrastarne il dominio e che tenta di non esserne sopraffatto. E quell’urlo che “ è l’Esasperatismo ” va inteso come un tentativo di massimizzare il rapporto fra natura ed uomo.

Superare “il Muro” sottintende la intollerabilità che appare invalicabile ma è possibile. Ed il segno di questa fiducia emerge, in quel contesto, come l’avvento della Natività che azzera il corso di un tempo preannunciando un nuovo cammino. Ostacolo di un sentiero tortuoso che si rifugia nella “Preghiera”, che diviene sintesi di una speranza, un afflato a cui non si può rinunciare e può far nascere pur nell’aridità, un fiorire di cespi. Ecco quindi “La Ginestra” che delle papilionacee rappresenta con il suo giallo napoletano, la luminosità; rinascita pur generata da quel suolo bruciato. E’ dunque questa la nuova narrazione che propone Di Franco. Racconto d’inquietudine nel concetto di confronto del -dare-avere- che enuncia. Stratificazione nella corporeità degli elementi che pure rivelandogli tutta la propria forza di sopraffazione, Egli tenta di pianificare attraverso la luce di archetipi che sono frutto di una volontà di riscatto; che si nutrono soprattutto di una personale filosofia di vita. Motivazione questa che può fargli ritrovare indicazioni di convivenza al divenire. Obiettivo ad una vocazione di “ rinascita ” che “ nel segno dell’esasperatismo ” percorre; prefiggendosi di offrire con il proprio contributo, elementi estetici e non conflittuali di modificazione.

 

CENTRO D'ARTE E CULTURA
«IL BIDONE»
Via Salvator Rosa 159
Orario: 16.30 - 19.30
sabato e domenica chiuso