Rosario Pinto
Scrittore e storico dell’arte

L’Esasperatismo e le Dinamiche Categoriali della Linea Espressionistica

Abbiamo avuto il privilegio di vederlo nascere il movimento dell’ ‘Esasperatismo’ e di averne seguito le vicende della sua progressiva affermazione sotto la guida solerte ed attenta di Adolfo Giuliani. In occasione della ‘prima mostra internazionale’ del movimento, nel 2004, in un nostro intervento d’apertura del relativo catalogo, abbiamo cercato di individuare un primo discrimine non solo tra ragioni formali e motivi contenutistici del processo ‘esasperatista’, ma abbiamo, di più, cercato di additare anche le differenze di fondo tra ragioni ‘stilistiche’ e ‘categoriali’ che connotano la concezione stessa d’un profilo ‘espressionistico’ dell’arte che costituisce il grande alveo entro il quale autorevolmente l’ ‘Esasperatismo’ s’iscrive. Quelle ragioni e quelle considerazioni critiche, oggi, non ci sembrano superate, piuttosto, riaffermabili e ciò in forza proprio di quella ancor più matura consapevolezza del ruolo che il movimento è andato progressivamente assumendo. Conviene osservare, infatti, che nella consapevolezza creativa degli artisti che hanno aderito alle istanze proposte da Giuliani nel suo ‘manifesto’ del 2000, s’è consolidata l’istanza di un impegno contenutistico e d’una necessità espressiva di quelle condizioni umane e sociali che caratterizzano in modo imprimente le peculiarità della vita contemporanea.
A rileggere, per l’ennesima volta, il ‘manifesto’ dell’ ‘Esasperatismo’ non possiamo non convincerci che la dinamica concettuale che lo presiede è tutta imperniata sul privilegiamento dei contenuti fino ad intendere il simbolo stesso del movimento, il ‘bidone’, come un sintagma in cui s’annidano le ragioni d’un processo assorbendone le istanze e le prospettive seguendo la finalità di porsi, nell’immediato della comunicazione intersoggettiva, come fattore di riconoscibilità inintermediata e diretta. Non a caso, Giuliani, sfidando spesso l’ostilità di alcuni artisti, ha raccomandato sempre l’adesione a questo ricorso minimalisticamente simbolistico, lasciando assolutamente impregiudicata ogni altra libertà espressiva dell’artista nella prospettiva propositiva di un contributo critico. Appare logico, quindi, che il privilegiamento contenutistico non risulta inficiato dal ricorso a ciò che abbiamo definito come aspetti di minimalismo simbolistico, giacché ciò che distingue e connota ogni singolo contributo creativo svolto dagli artisti nel segno dell’intervento propositivo di stampo ‘esasperatista’ è per ragion propria un intervento dotato d’una sua intrinseca criticità.
Noi, che ricordiamo ancora con nostalgia e con profonda consapevolezza dell’importanza che ebbe anche per il corso degli avvenimenti successivi, la tornata di “Autonomia critica dell’artista” che si celebrò alla Fiera di Bologna del ’79, non possiamo non considerare con profonda adesione e con straordinaria fiducia ogni intervento creativo che si svolga all’insegna dell’affermazione del ruolo di ‘coscienza critica sociale’ che l’arte possiede. Ci hanno sempre preoccupato, piuttosto, le derive miseramente ‘decorative’, le processualità creative ispirate dal disimpegno richiesto all’artista, ritenendo noi che l’arte non possa che essere, appunto, il luogo ove si percepisce e poi si consolida la forma organica d’un progetto culturale all’insegna del quale si modellano l’assetto della società ed i suoi codici espressivi.